IL Fatto.it
di Luisiana Gaita | 24 febbraio 2016
Circa una decina di casi all’anno sono solo quelli di cui hanno parlato i media dal 2009 a oggi, ma il numero dei fascicoli aperti dalle procure è molto più alto. Molte denunce hanno portato aprocessi, ma solo una parte di essi si è conclusa con condanne. Il 2009 ha segnato uno spartiacque, perché quell’anno per la prima volta le telecamere di sicurezza filmarono quanto accadeva in un nido, il ‘Cip e Ciop’ di Pistoia: 25 i bambini che avevano subìto le violenze di due maestre (condannate in terzo grado a 6 e 5 anni di reclusione). Accadeva mentre era ancora in corso il processo che coinvolse l’asilo ‘Olga Rovere’ di Rignano Flaminio (nel 2014 la Corte d’Appello di Roma ha confermato le assoluzioni di primo grado per le maestre accusate di abusi e violenze sui bambini). “Ogni anno si verificano almeno dieci casi, anche di più” dice ailfattoquotidiano.it Pietro Forno, procuratore di Milano facente funzione. Che spiega: “Arrivano molte denunce, ma non tutte sono fondate: verifichiamo ogni segnalazione e i pm individuano i casi da approfondire”. Per il procuratore “si tratta di eccezioni, ma non così rare. E noi dobbiamo agire con tempestività”. Dal Bilancio sociale dell’anno giudiziario 2013-2014 del Tribunale di Milano, risultano aperti 74 fascicoli per presunti maltrattamenti commessi da educatori, insegnanti e operatori sociali. Erano stati 71 nell’anno precedente. Nel corso delle indagini vengono spesso utilizzate leintercettazioni ambientali e le riprese audiovisive. “Non solo offrono importanti elementi investigativi, ma sono fondamentali in sede di processo – sottolinea Forno – dove la parola dei bambini può non essere sufficiente, specie se molto piccoli”.
A fine gennaio, dopo l’ordinanza di interdizione della durata di 6 mesi a carico di una maestra di una scuola d’infanzia di Tufino(Napoli), il procuratore di Nola Paolo Mancuso si è chiesto quali fossero le ragioni che avessero spinto i genitori a mantenere un così lungo silenzio su quanto avveniva in quella classe, facendo prevalere “un malinteso senso di omertà, o di timore, o di quieto vivere, o di indifferenza verso i gravi traumi provocati da tali condotte nei propri figli”. E poi altri dubbi. Su come “tali comportamenti non abbiano mai potuto suscitare un allarme su quanti avrebbero dovuto sorvegliare”. A ilfattoquotidiano.itMancuso parla delle difficoltà a denunciare: “Accade anche che lemamme piuttosto che andare da carabinieri e magistrati, parlino con le responsabili delle strutture e su quattro casi affrontati dalla nostra procura solo una volta la direttrice ci ha avvisato”. Eppure si tratta di comportamenti che durano negli anni. “È abbastanza strano che mai ci sia stata una segnalazione” dice Mancuso. L’Osservatorio sui diritti dei minori ne riceve invece a cadenza quotidiana, tanto che è difficile fare una statistica. Secondo il presidente Antonio Marziale “si può parlare di emergenza”. Ma allora chi denuncia? “I genitori – dice Marziale ailfattoquotidiano.it – perché i colleghi o il personale tendono a preservare il buon nome della scuola. Non sempre però alle segnalazioni fanno seguito gli esposti all’autorità giudiziaria”. La ragione? “Hanno paura che i propri figli vengano presi di mira”. Il rischio, però, è una sfiducia generalizzata verso la classe docente. “Non è così – spiega Marziale – perché la maggior parte degli insegnanti svolge il proprio lavoro in modo ineccepibile. Eppure non è possibile che nessuno senta i pianti o le urla di un bambino picchiato”.
OMERTÀ E CORAGGIO
Proprio nel recente caso del ‘Nido del Cep’ di Pisa, oltre alla maestra arrestata perché accusata di maltrattamenti, sono state sospese anche altre due colleghe della stessa sezione. Le immaginiregistrate dai carabinieri mostrano la loro presenza durante le presunte vessazioni. Eppure, proprio in questo caso, sono state tre educatrici di un’altra sezione a informare il Comune a gennaio, mentre l’indagine era già partita dall’esposto presentato a novembre in procura da un’ausiliaria. A maggio del 2013, sulle violenze in un asilo alla periferia di Roma la segnalazione alle forze dell’ordine era arrivata da persone interne alla scuola, oltre che da alcuni genitori. E partì proprio dalla denuncia di quattro stagistel’inchiesta che ha portato il 25 gennaio scorso alle condanne per le quattro maestre dell’asilo nido ‘Il Gatto Parlante’ di Agliana (Pistoia), chiuso nel 2011. I casi sono rari, ma qualcuno che rompe l’omertà dall’interno c’è.
4. LA CULTURA DELLE PUNIZIONI CORPORALI
“C’è anche chi tende a giustificare certi atteggiamenti – spiega il sociologo Marziale – perché magari anche in casa si utilizzano metodi educativi basati sulla paura”. Nel 2013 la Ong ingleseAssociation for the Protection of All Children ha denunciato l’Italia al Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa perché troppi italiani puniscono i propri figli corporalmente. Alla base della denuncia uno studio pubblicato daIpsos nel 2012 che rivelava come tra il 3 e il 5% dei genitori intervistati picchia i figli a scopo educativo ogni giorno, il 18-27% qualche volta al mese, il 50% occasionalmente e il 25% mai. E se nel 2010 il Consiglio d’Europa bandì le sculacciate, sulla differenza tra maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione si è espressa di recente la Corte di Cassazione ritenendo che fosse colpevole del primo reato una maestra in una scuola di Capo di Ponte (Brescia) che schiaffeggiava gli alunni abitualmente.
CHI C’È DIETRO LA CATTEDRA – Pur essendoci meno controlli nelle strutture private, gli episodi di maltrattamento avvengono anche in strutture pubbliche. Ad oggi le regole per le maestre cambiano in base a quanto viene deciso daiComuni. Per lavorare negli asili pubblici bisogna superare unconcorso, la materia però è lasciata agli ordinamenti regionali. Ma solo alcune Regioni, come Toscana ed Emilia-Romagna, hanno emanato delle leggi che prevedono un coordinamento pedagogico e regole severe per la supervisione dei bambini. In Campania,Sicilia e Calabria, ad esempio, non ci sono leggi sugli asili nido. E mancano i controlli. “Gli episodi di maltrattamenti restano casi isolati” dice a ilfattoquotidiano.it la senatrice del Pd Francesca Puglisi, promotrice del disegno di legge 1260 poi rientrato nella riforma della ‘Buona scuola’. “Con i nuovi provvedimenti – spiega – vogliamo che nelle scuole ci sia un responsabile a cui chiedere conto di ciò che accade e puntiamo a rafforzare il corpo ispettivo, perché dobbiamo evitare che certe persone possano continuare a lavorare con i bambini”. Al di là delle lauree, come si fa a capire se una maestra sia o meno capace di maltrattare un bambino? “Il percorso di formazione deve comprendere oltre alla laurea anche per il personale degli asili nido, anche un tirocinio: quello è il banco di prova”.